I pensieri che assillano tanto fino a diventare fissazioni

Le fissazioni mentali ci rende schiavi, perché non si riesce a cambiare direzione alla propria vita. Il problema è all’interno della vostra mente.

Le ossessioni sono stimoli negativi che martellano il cervello senza riuscire a trovare una via d’uscita. Sono una conseguenza di eventi accaduti nel passato che provocano una regressione interiore, impedendo nuovi obiettivi. Più cerchiamo di evitare i pensieri indesiderati, più si intensificano ed è tutto controproducente.

Per risolvere e controllare le ossessioni:

1 Immaginiamo una strada e i pensieri sono una macchina in movimento. Un pensiero indesiderato ci tormenta allora l’auto esce di strada e va verso un dosso per arrestarsi. Analizziamo il momento dettagliatamente. Poi riprendere la strada come se nulla fosse accaduto. I pensieri cessano di dare fastidio. I primi tentativi saranno difficili soprattutto a delineare i dettagli.

2 Immaginate un segnale di stop sulla strada. Cercate di rendere l’immagine più vivida possibile con tutti i dettagli e quando vedete il segnale di stop tutti i pensieri negativi si arrestano

3 Immagina un fiume che scorre rapidamente portando con se le foglie degli alberi vicini. Visualizzatevi bene in mezzo al fiume fino ad avere la sensazione di trovarli realmente lì. Ricreate i dettagli per renderla reale poi incorporate i pensieri preoccupanti: immaginate che emergono da dentro per trasformarsi in una sfera e percepitene la consistenza, le dimensioni e il peso. Prendetela tra le mani e mettetela nel fiume con le foglie e lasciatela andare, scorre nella corrente fino a scomparire così vi riempirete di pace interiore

La mente non fa che focalizzare il pensiero e non c’è distrazione per interrompere il ciclo. Il pensiero è il più importante di ogni altra mansione. Diventa una fissazione che non riesce a farne a meno, fino a  sentire un senso di panico. Bisogna prendere dei seri provvedimenti!

 

 

Scritto dalla  dott.ssa Elena Conter

 

presso LO SCRIGNO DI CONTER

Via Caionvico, 1a  Brescia Tel  3383283633

 

elenaconter@gmail.com

c.elena_S@libero.it

 

www.psicologa.bs.it

Psicologo online

Richiedi una consulenza

Si propone di effettuare una consultazione psicologica online attraverso l’utilizzo del programma di videochiamata Skype.

La consultazione psicologica online serve per analizzare il problema, definire, valorizzare le risorse esistenti e comprendere come riportarlo a uno stato di benessere. Si cercherà di chiarire l’obiettivo che si vuole raggiungere, stabilendo un numero di colloqui utili per capire come affrontare il problema.

N.B.: Non si effettua psicoterapia, né diagnosi a distanza.

È semplice:
  • si prende un appuntamento e si paga
  • si vede a quel giorno/ora su Skype

La connessione audio e video è obbligatoria per partecipare agli incontri con lo psicologo online, insieme ad un paio di cuffie, ad un microfono ed il programma Skype.

Gli incontri con lo psicologo online hanno durata di 45-50 minuti circa e un importo di 65 euro, con pagamento anticipato tramite conto corrente bancario.

Inoltre, prima di effettuare un primo incontro, è necessario inoltre firmare un consenso informato contenente il trattamento della privacy, andranno compilati e inviati via mail allo psicologo sempre prima della prima seduta .

 

Per prenotare un appuntamento occorre o telefonare al numero 3383283633 o inviare un messaggio o una e-mail con oggetto “PSICOLOGO ONLINE” specificate il proprio nome, età, condizione lavorativa, tipo di problematica ed eventuali preferenze di giorni e orari per il primo contatto con lo psicologo online.

Non si effettuano prestazioni psicologiche a distanza a minorenni senza il consenso informato di entrambi i genitori.

 

Il contatto da aggiungere al programma Skype è verrà fornito dalla segreteria dopo avere fissato l’appuntamento

Ho trovato questo articolo molto interessante sul web

Ho trovato questo articolo molto interessante su www.avvocatirandogurrieri.it

Se vogliamo prevenire le patologie dei figli curiamo prima i genitori: è un titolo provocatorio, tratto dall’articolo di Maura Manca, che ci offre un insegnamento fondamentale.

“Stiamo assistendo ad un fallimento del ruolo genitoriale di massa che indirettamente grava sulla salute mentale dei figli. Se mancano i punti di riferimento I figli cresceranno senza una direzione e ci sarà chi compenserà e chi devierà. Ho scritto queste parole sul Magazine AdoleScienza.it dopo l’ennesima conferma di quanto i disturbi psicopatologici di bambini e adolescenti si stanno aggravando in termini di intensità e di frequenza.

Non possiamo stare inermi a guardare questa lenta e inesorabile distruzione di massa e se vogliamo fare prevenzione dobbiamo accettare questa condizione e cambiare ciò che non funziona. Se prima di fare i cambiamenti non aggiustiamo ciò che non funziona, prima o poi i cerotti si staccano e dobbiamo riparare dall’inizio.

Ciò che a volte si dimentica e che la prima infanzia è una fase estremamente delicata in cui si pongono le basi solide su cui si costruirà un’identità stabile, una personalità forte, una adattabilità del bambino, poi adolescente ed infine adulto. É un periodo di plasticità neuronale e muscolare in cui il bambino è fortemente condizionabile in termini positivi e negativi, anche e soprattutto dall’apprendimento indiretto, ossia dall’esempio delle figure che lo accudiscono e dalle esperienze di vita che caratterizzano la sua vita.

I bambini hanno bisogno del legame, del conforto con il genitore, della relazione sociale, dell’attività fisica, di esprimersi da un punto di vista psicologico e fisico sentendosi contenuti da un adulto in grado di fargli da guida di dargli la mano quando serve e di dirgli “Vai ce la puoi fare da solo” quando è necessario. Hanno bisogno di chi non fa da paracadute solo per un egoismo personale, perché si fa prima, perché è meno faticoso, perché non si ha voglia di discutere con il figlio senza capire che se lo si cresce con la consapevolezza che avrà sempre e comunque un paracadute non spiegherà mai le sue ali. Deve crescere con la consapevolezza di un legame stabile, di essere riconosciuto e accettato, di avere un porto sicuro che gli permetterà di partire, di osare, di sperimentarsi perché sa che avrà dei pilastri su cui contare.

Ciò che invece tristemente vedo è che non si prende più in braccio un figlio per calmarlo, non ci si siede più con lui per farlo ragionare e capire cosa sta accadendo e di cosa ha bisogno, sì da uno smartphone, un tablet, una scorta di un ciuccio digitale che serve da calmante e da ansiolitici. É più facile, è più rapido, i bambini vengono anestetizzati davanti agli schermi e i genitori devono fare i benemeriti affari suoi in santa pace.

Posso comprendere i casi straordinari di necessità, ma ciò che distrugge un figlio e la continuità, la sistematicità, non l’occasionalità. Oggi siamo arrivati anche a non far camminare più i figli, a non insegnargli neanche dove mettere i piedi. Sono dotati di scarpe con le rotelle, di hoverboard (gli skate elettronici) per cui si vedono i bambini sfrecciare da soli e genitori che non si rendono conto dell’importanza di prendere la mano di un figlio e di camminare al suo fianco.

Il problema non è solo psichico, emotivo e di acquisizione di competenze psichiche, è anche fisico, mi trovo sempre più bambini che non sanno correre, saltare, andare in bicicletta, fare una capriola, che sono completamente scoordinate e non hanno il senso dell’equilibrio.

I bambini hanno bisogno di sporcarsi le mani di sbucciarsi le ginocchia, di confrontarsi con gli altri coetanei, non solo con la tecnologia e con gli adulti, non devono solo competere a chi è più bravo, più bello, a chi fa più cose, a chi è più talentuoso, a chi si mette meglio in posa, a chi fa i video e i selfie più belli a prendere già I like sui social.

Hanno bisogno di litigare di fare pace, di capire i propri limiti, il senso dell’amicizia e non di essere amici sui social e mandarsi cuoricini su WhatsApp, le distanze, l’empatia e al rispetto.

Devono crescere sviluppando le capacità di problem solving e le capacità intellettive attraverso la sperimentazione e le prove e di errori. Se si vuole insegnare ad un figlio ad essere responsabile bisogna prima essere responsabili e comportarsi da genitore responsabile.

Inoltre ci si deve ricordare che “in motu vita est”, la vita è movimento. La  staticità spegne, blocca porta alla morte psichica.

Affrontare la vita di petto e in maniera dinamica è il segreto per non ammalarsi e per non farsi schiacciare dagli eventi, anche se troppo spesso questi bambini non sanno neanche cosa sia la motivazione, la grinta, il credere in se stessi e in qualcosa o qualcuno è il senso della fatica. Rischiano di avere perso una partita in partenza perché nessuno ha “perso tempo” ad insegnargli a giocare la loro partita.

Allora non gridiamo allo scandalo, non arriviamo sempre dopo per chiederci il perché, la famiglia deve essere una risorsa fondamentale nel crescere un figlio da cui non si può prescindere ed è lì che dobbiamo investire se vogliamo evitare di continuare a parlare di patologia, disagio e devianza e smetterla di essere il Paese del dopo, della Pietà e dello scandalo, ma iniziare ad essere il paese del prima.

Questo articolo è stato scritto da Maura Manca e pubblicato sull’Espresso il primo settembre del 2017 ne traggo spunto semplicemente perché Condivido pienamente l’idea espressa da Maura Manca e trovo che ora sia proprio il momento giusto per diventare il paese del prima quindi prevenire che sicuramente meglio molto meglio di curare.

Il punto nero e lo spazio bianco

Scrivete su quello che vedete sul foglio che vi mostro.

  

 

Si constata che non c’erano domande sul foglio ma solo un punto nero al centro del foglio.

 

Tutti si concentrano sul punto nero e la stessa cosa accade alle vostre vite.

Tutti ma tutti avevano definito il punto nero, cercando di spiegare la sua posizione al centro del foglio.

Ma la cosa che non è Mai capitata  è che nessuno ha parlato della parte bianca del foglio…

I punti neri sono piccoli contro  tutto l’insieme che abbiamo nelle nostre vite, ma sono ciò che ci danneggia, ci distoglie l’attenzione da ciò che è buono.

 

Allora cercate di non prestare lo sguardo ai punti neri delle vostre vite, apprezzate i lati positivi che ogni momento la vita regala. Siate felici e vivete una vita piena di sentimenti positivi e di belle cose!

È difficile distogliere lo sguardo da quel piccolo punto nero anche se piccolo… È Quello che condiziona la maggior parte di noi. Non considerarlo costa fatica, determinazione e costanza. Chi si estranea dal contesto può riuscirci ad ottenere la felicità e la serenità nei rapporti interpersonali.

 

Ma se non ci si riesce.. Il ruolo dello psicologo è quello di avere la possibilità di intervenire e poter aiutare che esiste lo spazio bianco, quindi il bello, il positivo… Lo psicologo aiuta a vedere l’alternativa e a far star bene, solo se c’è la volontà nel percepirlo…

Molti tornano indietro o mollano poco dopo. Molti continuano imperterriti sulla propria strada anche se sbagliata. La volontà fa grandi cose! Significa mettersi in discussione, accettare i propri limiti ed analizzare i propri errori ed obiettivi; e prendiamo visione anche della propria  sofferenza. Significa ammettere che il cattivo non è. L’altra persona ma siamo noi stessi!

La paura è ciò che ci obbliga a proseguire verso la strada sbagliata.. Chi non lavora su se stesso ha la volontà la tenacia di continuare verso la propria comodità.

I consigli di Maria Montessori per essere un bravo genitore.

Essere bravi genitori è un obiettivo che hanno tutte le persone che mettono al mondo dei figli:

Sarò un bravo papà? Sarò una madre amorevole? Cosa vuol dire essere un genitore capace?

Per essere dei bravi genitori si deve prima di tutto ascoltare i propri figli, senza prevaricarli, anche quando sono molto piccoli.

Non ci si deve sostituire a loro, ma imparare con loro.

Maria Montessori, una delle pedagogiste più importanti del 20esimo secolo, ha un metodo che mette il bambino al centro dell’apprendimento.

Si possono seguire dei consigli per imparare a diventare dei buoni genitori:

·       I bambini imparano da ciò che li circonda.

·       Se un bambino viene spesso criticato, imparerà a criticare gli altri.

·       Se un bambino viene spesso elogiato, imparare a valutare gli altri.

·       Se a un bambino viene mostrata ostilità, imparare a combattere.

·       Se si è onesti con un bambino, imparerà il significato di equità. 

·       Se un bambino viene deriso, diventa timido.

·       Se un bambino si sente sicuro, imparerà a fidarsi delle persone.

·       Se un bambino viene fatto vergognare, imparerà a sentirsi sempre in colpa.

·       Se un bambino viene frequentemente incoraggiato, avrà una grande autostima.

·       Se un bambino è accondiscendente, imparerà la pazienza.

·       Se a un bambino viene dato sostegno, sarà sicuro.

·       Se un bambino vive in ambiente amichevole e sente che altri ne hanno bisogno, imparerà l’amore.

·       Mai parlare male di un bambino, in sua presenza o meno.

·       Concentrati sul coltivare il bene in un bambino. In questo modo, non ci sarà posto per lui per il male. 

·       Ascolta sempre e rispondi alle domande di un bambino.

·       Rispetta un bambino, anche quando commette un errore, così potrà correggersi.  

·       Sii sempre pronto ad aiutare un bambino che necessita di assistenza e fatti da parte quando ha trovato tutto ciò di cui ha bisogno. 

·       Aiuta un bambino ad approfondire le cose in anticipo.

·        Mostra sempre le migliori maniere per un bambino. Mostragli come essere il meglio che possa essere. 

Non rispondono alla domanda “Come è andata a scuola?”

Accade tra una mamma e un figlio, al suo ritiro da scuola. Sale in auto o arriva a casa, e la mamma fa la fatidica domanda: “Come è andata oggi a scuola?”. La risposta probabilmente è “bene” e poi veleggia il silenzio. In altre occasioni si sente solo silenzio.

Allora mettiamoci nei loro panni! Immaginiamo se qualcuno ci aspettasse fuori dall’ufficio ogni giorno, per chiederci “come è andata?”. Non è il miglior esordio per una conversazione, è una domanda noiosa, si ha voglia di restare in pace, lasciare andare il tempo ormai trascorso. Bisognerebbe lasciare perdere la fastidiosa domanda … sono solo mentalmente stanchi.

A scuola non sempre si divertono: ci sono i doveri, a volte vanno bene ed a volte non vanno bene; gli insegnanti, che non sempre sono socievoli; ed i compagni che a volte non si scelgono. Dopo una giornata faticosa, non si ha la voglia di raccontare le loro avventure negative e/o positive.

Comprendendo che per noi genitori chiedere “come è andata?” è solo un modo per dirgli che si è sentito la loro mancanza, che siamo curiosi di sapere cosa hanno fatto e vogliamo condividere la loro giornata.

Immaginiamo invece se noi genitori impostassimo la conversazione con altre frasi    come per esempio:

  •   Con chi hai giocato durante la pausa?
  •   Vi siete divertiti?
  •   Come è andata la ricerca?
  •   E in classe è successo qualcosa di divertente?
  •   Qualcuno che sembrava un zombi?
  •   La maestra era in forma?
  •   E se un giorno comandi tu che regole daresti? niente regole!!!? Pensa che confusione!
  •   Hai dato una mano a qualcuno oggi?
  •   Qualcuno ha fatto una cosa carina per te o per gli altri?
  •   La cosa più divertente che avete fatto oggi?
  •   E quella più interessante che hai imparato?
  •   Ok dopo che la conversazione è attiva allora si può chiedere il voto della giornata!!!

Questo è un modo carino ed avvincente per sentirsi interessati a vostro figlio, ai suoi interessi e al tempo che passa lontano da voi. E se si vede che collabora nel rispondere fate più domande possibili.

Lasciatelo anche lamentare di ciò che è successo a scuola … è uno sfogo!!!

Anche se questo tempo è la loro vita scolastica che è molto, molto importante, i bambini passano la maggior parte del loro tempo li e bisogna condividerlo, ma con moderazione perché dopo che si passa molto tempo in un posto bisogna dare il tempo di rielaborare il trascorso e poterlo “tirare fuori”. Quindi rispettiamo i suoi tempi!!!

 

L’ORDINE

Tutti non amano stare in mezzo al disordine, sia piccoli, che i grandi perché l’ordine dell’ambiente esterno è funzionale allo sviluppo dell’ordine interiore, facilitando la concentrazione e l’apprendimento. Si deduce quindi, che in un ambiente ordinato si lavora meglio. E’ importante favorire il riordino degli ambienti dall’inizio della vita di ogni essere vivente, e rendere il riordino parte dell’attività di gioco.

Ma perché le camerette sono sempre in disordine? Perché i genitori non riescono quotidianamente a far sistemare i giochi ai bambini? 

Ci sono delle strategie che possono aiutare i bambini nello sviluppo di questa competenza.

Prima di tutto è fondamentale la predisposizione dell’ambiente. Una studiosa, Maria Montessori, sosteneva che l’adulto è il custode dell’ambiente, cioè colui che offre al bambino un ambiente invogliante, adatto al suo sviluppo, rispecchiante i suoi interessi e dove il bambino possa trovare risposte alle sue richieste di crescita. Ogni cosa deve avere uno scopo preciso.

“L’adulto deve curare l’ambiente di vita del bambino considerando che il materiale con cui il bambino lavora è il cibo della sua mente.” I criteri di allestimento della cameretta dovrebbero essere: scelgo, propongo, o adatto ciò che già c’è, perché sia utile, bello e interessante.

Spesso gli spazi sono troppo densi di materiale, questa condizione non facilita il riordino, perciò bisogna liberare lo spazio, diminuire la mole di materiale da tutto ciò che non serve, togliere dall’ambiente ciò che è rotto e rovinato, non è adeguato all’età e agli interessi dei bambini.

Bisogna disporre a vista ciò che al bambino in questo preciso momento interessa, riponendo in un armadio chiuso ciò che piace di meno, è troppo semplice o ancora troppo complesso.

Se si possiede troppe cose si potrebbe adottare delle regole:

·                per ogni cosa che si introduce, se ne toglie un’altra;

·                il materiale può ruotare, a distanza di qualche settimana, si elimina e si reinserisce;

·                si sceglie un posto preciso per ogni cosa e si dispone i giochi a vista.

Se il bambino desidera un gioco preciso deve poter trovarla solo cercandola con lo sguardo e poi saper riporla dove l’ha presa. Se il bambino deve rovesciare uno scatolone, o spostare materiale per raggiungere ciò che vuole, è facile che poi non riesca a riordinare tutta la mole di materiale rovesciata o spostata.

Ad esempio per il disegno prendo una scatola dentro la quale metto: qualche foglio, un contenitore con una decina di matite colorate, un temperino, una gomma. Così il bambino, quando disegna, può prendere la scatola, svolgere l’attività e riporre al suo posto.

 

Dare l’esempio I bambini piccoli hanno bisogno di vederci riordinare continuamente. Quando giochiamo insieme ad un bimbo di poco più di anno, mostriamogli dove il materiale deve essere riposto  prima di passare ad un’altra attività. In questo modo il bambino si abitua al riordino, riconoscendolo come fase conclusiva dell’attività.

Collaborare al riordino  è la fase successiva, intorno ai 24 mesi, il bambino può iniziare ad aiutarci a riordinare il materiale, dopo aver lavorato insieme. Questo riordino è fondamentale come un passaggio necessario per procedere alla scelta di una nuova attività.

Se lasciamo che l’ambiente si saturi di oggetti in disordine, richiedere la partecipazione al riordino diventa estremamente difficile e complesso. Se, si riordina a ogni gioco, diventa un compito più accessibile.

La camera del bambino in disordine deve farmi porre delle domande: l’ambiente che gli sto offrendo è adatto al suo grado di sviluppo? Ho trasmesso al mio bambino il perché è importante riordinare, qual è il valore del riordino? Da qui si può partire con la mia azione educativa…..

Gli insegnamenti di Maria Montessori

Maria Montessori ha destinato a genitori, educatori ed insegnanti dei comandamenti da seguire nell’educazione dei bambini, e sono:

 

I bambini imparano da ciò che li circonda.
Se critichi troppo un bambino, imparerà a giudicare gli altri.
Se elogi regolarmente un bambino, imparerà a valorizzare ciò che lo circonda.
Se dimostri ostilità ad un bambino, imparerà a litigare con gli altri.
Se sei corretto con il bambino, imparerà ad essere corretto con gli altri.
Se umili e ridicolizzi un bambino, diventerà una persona timida ed insicura.
Se un bambino cresce sentendosi al sicuro, imparerà a fidarsi degli altri.
Se denigri spesso un bambino, crescerà con un malsano senso di colpa.
Se accetti regolarmente le idee di un bambino, imparerà a sentirsi valorizzato.

Se lo incoraggi nelle sue scelte e nelle piccole imprese di ogni giorno, acquisirà sicurezza in se stesso.
Se il bambino vive in un’atmosfera piacevole in cui può sentirsi utile, imparerà a trovare amore e serenità nel mondo.
Non parlare male di tuo figlio, né quando è vicino a te né quando è assente.
Ascolta sempre tuo figlio e rispondi alle sue domande.
Devi essere disponibile ad aiutare tuo figlio se cerca qualcosa ed essere in grado di passare inosservato se riesce a trovarla autonomamente.
Rispetta tuo figlio anche quando ha commesso un errore. Imparerà a correggersi da solo col passare del tempo.
Parla sempre in maniera gentile e costruttiva con tuo figlio, offrigli sempre il tuo lato migliore

Iniziano le vacanze serve un AIUTO nei COMPITI ???

Inizino le vacanze….. e ci si può rilassare!!!!!

Nooooooooo!!!

Ci sono anche i compiti da svolgere!!!!!!  matematica, italiano, storia, geografia, scienze ….. bisogna organizzarsi in tempo, ma che peso per i genitori e gli alunni che vogliono divertirsi!!!!

Ecco qui!!!! in soccorso pronto ad offrire  un aiuto che da la possibilità di farli ed offre anche un servizio capace di renderli più autonomi, imparando ad organizzarsi,  a farli da soli e magari con meno ansia e più autostima!!!

 

CHIAMATE SUBITO …  CI SONO POCHI POSTI DISPONIBILI!!!!!!!

 

 

La SINDROME DA ALIENAZIONE PARENTALE

psicologa-brescia

La sindrome da alienazione parentale è una disfunzioni psicologiche più controverse di questo periodo; è un disturbo infantile che porta il bambino a rifiutare, rinnegare, la madre o il padre a seconda dei casi. Ricordiamo il fondatore: lo psichiatra americano Richard Gardner, nel 1985. Secondo le sue teorie, nella separazione tra genitori capita che uno dei due, usualmente la madre, denigra il padre, spingendo il figlio a opporsi e danneggiando la relazione col padre fino a distruggerla. Questa condizione psicologica infantile sarebbe, spiegava Gardner, la Pas, sindrome da alienazione genitoriale (Parental Alienation Syndrome) e consisterebbe nell’assoluta indisponibilità del figlio a rapportarsi al genitore attaccato. Il primo, in termini tecnici, è definito “genitore alienante”, il secondo “genitore alienato”.

In Italia possiamo vedere la vicenda del bambino conteso a Cittadella, in provincia di Padova, nell’ottobre 2012. I telegiornali diedero la notizia con un video in cui il bimbo veniva prelevato, in modo violento, dalla scuola dalle forze dell’ordine su richiesta del padre, per applicare l’ordinanza di allontanamento dall’ambiente materno. Maltrattamenti psicologici e morali al papà, il pubblico ministero Federica Riente ha chiesto la condanna a 2 anni per la mamma e ad un anno ciascuno per i nonni materni. Recentemente riconsegnato alla madre, con giravolte che possono sconcertare, ma fanno capire la complessità della situazione.

“Nelle contese delle separazioni” spiega Dante Ghezzi, psicologo e psicoterapeuta familiare, esperto nel campo delle separazioni conflittuali, del maltrattamento infantile e del trauma, “è certo possibile che un genitore si opponga all’altro in maniera strumentale e agendo in modo scorretto sul figlio: questo fenomeno è da riprovare e correggere perché danneggia fortemente il bambino. Altra cosa è parlare di una sindrome specifica. Invocare una malattia (della mente e degli affetti) in questo caso è fuorviante; ci troviamo semmai di fronte a comportamenti lesivi l’interesse del minore. Definire Pas un caso di separazione conflittuale rappresenta dunque”, precisa l’esperto, “una semplificazione che non permette di ascoltare le ragioni dei genitori né di considerare adeguatamente eventuali maltrattamenti, gesti violenti e abusi sessuali, facendo prevalere su tutto la “sindrome alienante. La Pas, del resto” precisa Ghezzi, “non è accolta in nessuno dei testi riconosciuti a livello internazionale e non è minimamente considerata dall’American Psychological Association (APA); persino nei tribunali statunitensi viene contestata. L’autorevole specialista americano Jon R. Conte nel 1988 la definì ‘la peggiore spazzatura non scientifica vista da me finora’ “. Gardner, spiega ancora “il terapeuta familiare, ha sempre agito in maniera isolata e autoreferenziale, senza motivare scientificamente le proprie teorie.”

“La Pas non esiste” conferma la psicologa Sonia Vaccaro, autrice del libro “Pas: presunta sindrome di alienazione parentale” (Editpress, 2011) , “è insomma una costruzione psico-giuridica senza basi scientifiche, la descrizione parziale e soggettiva di un fenomeno che può osservarsi, a volte, nell’ambito giuridico, interpretato secondo i parametri di una soggettività ideologica”. “Le motivazioni che stanno dietro all’attaccamento o al rifiuto della madre o del padre sono complesse e non possono prestarsi a facili risposte o unanimi interpretazioni. La causa di questo comportamento” continua Vaccaro, “non può essere determinata senza la comprensione profonda della storia e della dinamica dei vincoli familiari. La reazione che avrà un bambino di quattro anni non è uguale a quella che mostrerà uno di otto, così come non si assomigliano i comportamenti di un giovane nella pubertà o nella adolescenza. In una “diagnosi” di Pas”, spiega Vaccaro, “la madre è quella che ha fatto il lavaggio del cervello al figlio/a per metterlo/a contro il padre, il quale è sempre rappresentato come ‘vittima’, anche nell’eventualità che esistano precedenti condanne per violenza e maltrattamenti. Per emettere una ‘diagnosi’ di questo tipo” continua Vaccaro, “generalmente non si interroga la madre, non la si valuta secondo metodi scientificamente validi e si rilascia una relazione basata quasi esclusivamente sulla percezione soggettiva del professionista che la valuta. Il 90% di queste relazioni è colmo di aggettivi qualificativi che descrivono la madre e i suoi comportamenti: pregiudizi senza alcun fondamento teorico né scientifico”.

“Qualora sussista una situazione di maltrattamento o abuso”, spiega ancora Ghezzi, “una diagnosi di Pas è un ottimo modo per eliminare ogni approfondimento, senza garantire protezione al minore offeso. E questo” conclude l’esperto, “è credibilmente il motivo della sussistenza nel nostro Paese di una corrente che accredita la Pas, sostenendola nei tribunali”.

Quindi nel caso del bimbo conteso a Cittadella, 64 professionisti italiani che operano come CTU o che hanno studiato il problema della Pas a livello accademico hanno firmato un documento psicoforense spiegando che “il fatto che il maltrattamento non costituisca una sindrome in senso proprio non significa che il maltrattamento non esista come fenomeno, potendo compromettere lo sviluppo psico-evolutivo del minore coinvolto. (…) Si può discutere se a questo fenomeno sia opportuno dare un nome specifico; a questo proposito sembra che i manuali di classificazione di prossima uscita siano orientati a farlo rientrare e definirlo all’interno della categoria dei ‘Disturbi relazionali’. Come per il maltrattamento, riteniamo che negare il fenomeno del rifiuto immotivato e persistente di un genitore significhi commettere un errore grossolano e fuorviante”.

Possiamo trovare sul sito www.alienazione.genitoriale.com tanti interventi di esperti a favore della Pas. Raffaello Sampaolesi, Garante dei minori Provincia Autonoma di Trento, nella relazione sull’attività svolta nel 2012 dall’Ufficio spiega che “parte ogni considerazione scientifico-giuridica in merito al problema, ciò che comunque si può affermare è che, a prescindere dal nome o dalla relativa configurazione scientifica, il fenomeno esiste e documenta drammaticamente ogni giorno quali e quanti danni siano in grado di procurare tali aspre contese tra due adulti, al cospetto dei figli, che assistono spesso impotenti alle distruttive guerre familiari, in cui non ci sono né vincitori né vinti, ma molte vittime”; mentre lo psichiatra William Bernet, autore di libri come “Parental Alienation, DSM-5, and ICD-11”, spiega come la locuzione “alienazione parentale”, pur non essendo esplicitamente riportata nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, trovi comunque in esso una sua descrizione.

 

Scritto dalla  dott.ssa Elena Conter

 

presso LO SCRIGNO DI CONTER

Via Caionvico, 1a  Brescia Tel  3383283633

elenaconter@gmail.com  c.elena_S@libero.it

www.psicologa.bs.it