DISFARSI DI TUTTI I VECCHI RICORDI RENDERE FELICI.

Avere in casa l’ordine perfetto ha infatti degli effetti benefici anche sulla mente e sull’aspetto fisico. Il decluttering è la pratica di tenere la casa ordinata, darebbe la possibilità di alleggerire ia propria mente.

La prima cosa da fare per sentirsi molto più liberi è trovare il coraggio di buttare, di regalare, tutto quello che non si utilizza più, che è diventato troppo deteriorato o che evoca brutti ricordi.

L’accumulo compulsivo di oggetti e vestiti finisce per soffocare la vita quotidiana, legandoci in modo ossessivo ad oggetti materiali a cui viene dato un valore simbolico.

Svuotare diventa dunque un’attività zen con cui si può dire addio alle emozioni negative da cui non riusciamo a distaccarci.

Regali che ricordano storie passate, legati a momenti difficili devono essere gettati senza ripensamenti

Dopo poco tempo, ci si renderà conto che l’ordine in casa avrà degli effetti benefici anche sull’aspetto fisico e sulla salute mentale.

Fare spazio nella propria stanza significa aprire la strada ai cambiamenti e “disintossicarsi” dal passato.

L’importante è non sforzarsi e lasciarsi trascinare dalle proprie emozioni.

Sulla scrivania dovranno rimanere solo gli oggetti positivi, quelli capaci di lasciare spazio all’ispirazione e alla felicità.

Piangere ….

…. non significa diventare deboli ma lasciare andare tutta la frustrazione che si prova. Significa dimostrare che si possiedono dei sentimenti.

A volte hai le emozioni tanto forti che reagisci piangendo perché non le temi. Piangere non è altro che il riconoscere lo spirito e ti lasci andare ad esso. Piangere serve per rimuovere il dolore che si ha dentro. Se non lo fai ti chiudi in te stesso e ti blocchi innescando problemi emotivi.  

Essendo umani non possiamo sopportare troppi conflitti nella testa, lasciamoli andare  con ciò che turba, attraverso le lacrime.

Il rapporto tra figli e tecnologia

Spesso la tecnologia è una battaglia senza fine tra i genitori e i figli.

La disperazione di tanti genitori a portare avanti le regole. Senza però riuscirci!!! E scaturiscono punizioni, ricatti, minacce, senza ottenere nulla.

Entrambi non capiscono perché si innesca la guerra. I ragazzi si sentono non capiti dai genitori.

La tecnologia è un mondo fondamentale e parallelo per gli adolescenti. La qualità di tempo che i ragazzi dedicano a questa attività è circa 6 ore della giornata ma non vuole dire che sia una dipendenza.

Può essere una via di fuga dalla realtà, un evasione e non affrontare le vicissitudini della vita.

Generalmente il problema non è lo smartphone, ma è il rapporto tra i genitori e i figli.

Bisogna trovare una soluzione: si deve comunicare e non deresponsabilizzate. I figli vivono quel no come una totale incomprensione dello stato d’animo, nessun riconoscimento dei propri bisogni e il non essere accettati.

La loro reazione è “ non tollero la tua decisione che mi fa male, mi togli uno strumento in cui è racchiusa la mia vita, dove mi esprimo e mi comprendono. Quindi sei cattivo, non vuoi il mio bene ma il mio male,” quindi si arriva all’allontanamento dai genitori.

Invece dobbiamo cercare di capire e ascoltare il senso dei nostri figli !!!

Affrontare lo stress, in adolescenza

Bisogna imparare a gestire situazioni difficili, ostacoli e imprevisti.

Gli adulti non devono evitare lo stress ai figli. Che lo stress può essere anche utile e può dare effetti a lungo termine, di cui gli adulti non si rendono conto, semplicemente perché gli effetti che produce non si vedono. Uno dei principali fattori di stress è la scuola, ma ciò che stressa i ragazzi è la pressione della famiglia, cioè sentono il peso delle aspettative genitoriali. Si sentono riconosciuti solo in base al rendimento scolastico.

Non si sentono liberi c’è sempre il controllo degli adulti che è altissimo. Gli adolescenti non hanno più nemmeno la possibilità di prendere un’insufficienza senza essere scoperti, ne sono messi nella condizione di elaborare strategie di recupero efficaci e in autonomia.

I genitori per proteggerli da una frustrazione, impediscono ai figli di usare la loro capacità nel risolvere problemi, ma la scuola non è condizione estrema, in grado di non farvi fronte. Così facendo diventano più vulnerabili e più vittime dello stress.

Ci sono anche i social, fulcro intorno a cui ruota la vita dei teenager e un’altra fonte potente di tensione.


Nella vita esiste uno stress buono, una tensione che aiuta a superare le difficoltà

rende attivi prima di una verifica, o di dormire male la notte prima di un compito di latino, e che è normale. È una tensione positiva, è una attenzione finalizzata a migliorare le prestazioni.

I genitori devono abituare i figli, già da bambini, a vivere i piccoli stress perché acquisiscano autonomia, strategie di soluzione, tutti elementi importanti per affrontare la vita. Bisogna allentare i figli e poi monitorarli, ma mai gestirli.

Scritto dalla  dott.ssa Elena Conter

presso LO SCRIGNO DI CONTER

Via Caionvico, 1a  Brescia Tel  3383283633

elenaconter@gmail.com  c.elena_S@libero.it

www.psicologa.bs.it

Gli eccessi di una relazione

L’abuso è fisico, emozionale,mentale e verbale. La violenza fisica è ovvia, gli altri tipi di abuso sono più sottili e molto difficili da rilevare.  Ci sono parole, azioni, comportamenti, interazioni che nessuna legge punisce, ma che possono risultare ancor più invalidanti di una ecchimosi o di uno sfregio,perché feriscono, tagliano e segnano in modo indelebile la coscienza.

La provocazione continua e persistente, l’offesa, la denigrazione, l’umiliare, l’ossessionare, la svalutazione, il privare della privacy, la coercizione, il ricatto, il silenzio, la privazione della libertà, il riempire di responsabilità, la menzogna, la carenza nel lato economico, la noncuranza, la trascuratezza fisica e affettiva, l’esclusione dalle decisioni importanti della famiglia, lamanipolazione dei sensi di colpa, sono esempi in cui si manifesta la violenzapsicologica. Una persona vicina, che amiamo, e dalla quale non ci aspettiamo unsimile comportamento. Quando ce ne rendiamo conto siamo già impigliati nellaragnatela che ha costruito intorno a noi. Ovviamente la vittima non ha sesso;può essere sia un uomo che una donna.

Inizia con un’osservazione casuale su una questione banale, come il cuscino riordinato male, riporre i piatti in lavastoviglie o portare la macchina dal meccanico. Quella persona accuserà e farà sentire male il suo interlocutore.

Chi è accusato tenta di difendersi, ma ciò non l’aiuterà perché l’accusatore non ha la capacità di capire o risolvere il problema, lui vuole semplicemente attaccare. Il suo obiettivo non è che l’altra persona lavi i piatti o porti la macchina dal meccanico, queste sono solo delle scuse per iniziare il gioco della manipolazione e dare libero sfogo alla sua rabbia.

Chi agisce la violenza psicologica sull’altro che lo utilizza come bersaglio su cui scaricare i propri conflitti interiori, o lo ritiene un oggetto che deve essere posseduto per mantenere un’illusione di potenza;è un individuo che ha bisogno di sentirsi migliore, è un debole che cerca una vittima per sentirsi forte, è frustrato, è un incapace o si sente incapace,così proietta sull’altro la propria incapacità.

Ogni relazione presuppone una reciprocità, il rispetto per la persona e i bisogni dell’altro, il riconoscimento dei suoi diritti. Molte persone si sentono insicuri contro la sicurezza e sviluppano una rabbia che negli individui deboli e disturbati sfocia nella violenza.

E’ molto più semplice dare la colpa a se stessi/e, di non amare abbastanza, di non sopportare abbastanza: chi è vittima sviluppa meccanismi di difesa per non vedere una realtà che sente troppo dolorosa. Ma questa negazione produce uno stato di ansia fortissimo, che può sviluppare in irritabilità, agitazione o  depressione, mancanza di volontà.

La vittima di queste forme di abuso si sente inadeguata, non ha autostima, accetta continue umiliazioni, ha una visione distorta della realtà, dubita di sé, pensa di dover accettare i comportamenti dell’altro, di doversi rassegnare, per non mettere in pericolo la famiglia.

  • L’aggressore cerca di manipolare, presenta informazioni false per far dubitare della salute mentale dell’altro. L’aggressore nega ed crea situazioni ambigue che disorienta. In questo modo finiamo per dubitare anche di quello che abbiamo detto un minuto prima.
  • Anche il silenzio può essere usato come tattica di abuso emozionale, l’indifferenza associata causa profonde ferite emotive, perché aumenta il livello di ansia nella vittima, ma danneggia gravemente la sua autostima e provoca insicurezza. L’aggressore lo utilizza per punire la vittima. Fino a quando l’altra persona non ne può più e finisce per scusarsi di qualcosa che non ha fatto. Così l’autore raggiunge il suo obiettivo: dominare e manipolare giocando con le emozioni.
  • La proiezione è un meccanismo di difesa, attribuiamo agli altri desideri e sentimenti che ci appartengono, ma non riconosciamo come propri. Distorcerebbero l’immagine che abbiamo di noi stessi, li proiettiamo sugli altri e saranno più sollevati. La persona proietta sulla vittima le proprie insicurezze, paure e problemi. Accusa l’altra persona di mentire,quando è lui che mente. Scarica la sua responsabilità sull’altro, per creare confusione e cambiare l’immagine che ha di sé.
  • Raramente ricorre all’aggressione e alla violenza, o almeno non in modo evidente, perché lo scopo principale è quello di manipolare la vittima senza che la sua immagine risulti danneggiata. Pertanto, spesso ricorre a intimidazioni nascoste. La conversazione ha minacce indirette, fa capire alla sua vittima quali sono le conseguenze delle sue azioni e sottolinea che la responsabilità è solo sua.
  • Il manipolatore ricorre al vittimismo, scarica le sue responsabilità sull’altro. La lite finisce facendo sentire dispiaciuti anche quando non abbiamo fatto niente di sbagliato. Genera un senso di colpa che mantiene la vittima nella sua ragnatela. L’empatia ci fa cadere nella sua retee siamo più propensi a cedere alle sue richieste. La manipolazione emozionale è un gioco molto pericoloso, c’è sempre qualcuno danneggiato. Spesso le si utilizzano inconsciamente.

Tutto ciò richiede un forte investimento di energia e coraggio da parte di tutti vittima e aggressore!!!!

Scritto dalla  dott.ssa Elena Conter

presso LO SCRIGNO DI CONTER

Via Caionvico, 1a  Brescia Tel  3383283633

elenaconter@gmail.com  c.elena_S@libero.it

www.psicologa.bs.it

Gli effetti della rabbia

Tutto nasce dalla necessità di non tenersi tutto dentro e di esprimere la rabbia. Poca attenzione viene posta sulla necessità di esprimere la collera in modo appropriato.

Amici, partner e familiari vivono in un continuo stato d’ansia. Non si sa mai che cosa può scatenare la crisi di rabbia. Così finiscono per soppesare ogni parola che dicono. Anche una battuta innocente o un commento di troppo possono scatenare una reazione aggressiva. Il clima diventa teso. Si cerca di tenere buona la persona irascibile. Si evita il confronto e magari nascondendo delle cose per non farla arrabbiare.

Anche se si fa la pace, le brutte parole dette durante i litigi rimangono dentro, lasciando cicatrici difficili da rimarginare. Il rischio è che se gli episodi di rabbia si ripetono, il partner o l’amico della persona iraconda finisca per non fidarsi più e decida di interrompere la relazione o l’amicizia.

Chi tende ad esplodere durante un litigio con le persone care deve diventare consapevole delle conseguenze negative del suo atteggiamento. Le scuse non cancellano le offese fatte nel momento di rabbia: le cicatrici rimangono. Una volta presa coscienza della distruttività del proprio comportamento, bisogna cercare di capire quali pensieri ed emozioni possono innescare la crisi di rabbia.

E’ importante analizzare l’episodio che ci fatto infuriare. Questo fatto ci ha fatto arrabbiare perchè l’abbiamo vissuto come un segnale di disinteresse? l’abbiamo vissuto come una mancanza di rispetto? Oppure abbiamo pensato che ci stesse tradendo?

Esiste qualche spiegazione alternativa a queste? Spesso basta imparare a leggere le situazioni in modo diverso per imparare a gestire la collera.

Ogni soggetto con problemi di rabbia probabilmente sperimenta situazioni in cui la rabbia è una risposta adeguata ed appropriata.

Un piccolo consiglio: metti su carta tutta la vicenda, per poterla rileggere dall’esterno, in questo modo ridimensionerai l’accaduto e capirai che non sono quegli episodi a crearti rabbia.

Dobbiamo imparare a rallegrarci di più, a ridipingere la vita di nuovi colori, e imparare ad apprezzarci di più; così facendo le cose andranno certamente molto meglio per tutti. Non si tratta di semplicistico ottimismo, ma di liberarsi dal male del quale e’ possibile liberarsi di sicuro: quello che dipende da noi stessi.

la RABBIA

Arrabbiarsi è umano!!! La rabbia è un’emozione. Scaturisce spesso da un evento esterno che fa da miccia. Tale evento viene percepito, valutato, analizzato in maniera soggettiva. A volte basta una piccola indelicatezza o una minima scorrettezza da parte di una persona, anche cara, per suscitare una forte reazione di rabbia, una lite furente durante la quale si dicono o si fanno delle cose di cui in seguito ci si pentirà amaramente. La reazione è eccessiva e inappropriata rispetto all’episodio che l’ha scatenata.

La rabbia viene espressa in modo esplosivo. Non mediato dalla ragione e non di rado viene agita con comportamenti che mirano a distruggere l’altro e la relazione. Si offende pesantemente, si dicono cose orribili con l’intento di ferire, umiliare e si minaccia di porre fine alla relazione.

A volte si diventa fisicamente aggressivi (magari rompendo oggetti) o mettendo in atto dei comportamenti di ritorsione (tradire per ripicca, rivelare confidenze) che segnano la condanna a morte del rapporto.

Chi ha poco controllo della rabbia è poco o per niente consapevole sia delle vere motivazioni per cui si arrabbia sia degli effetti distruttivi che le sue esplosioni di collera hanno sugli altri.

Chi non riesce a controllare la rabbia, dopo la lite vorrebbe che tutto ritornasse come prima, che l’altra persona dimenticasse quanto è successo e non si rende conto che queste crisi possono danneggiare l’altro.

Ma anche dopo la collera, le cicatrici rimangono: l’altro comincia a sentirsi a disagio e si allontana.

Le esplosioni di rabbia rivelano una profonda sofferenza interiore. Si arrabbiano troppo, a causa della loro storia personale, sono particolarmente sensibili alle esperienze di perdita, rifiuto e abbandono.

Per questa ragione ogni minimo segnale di rifiuto o di disinteresse da parte di una persona significativa è in grado di innescare una sensazione di disperazione che si esprime con rabbia e accuse. Se ci pensiamo bene a farci arrabbiare non è mai l’evento in sè ma l’interpretazione che si da dell’evento.

La persona che non riesce a controllare la rabbia tende a leggere il comportamento delle persone care in modo negativo ed esagerato, giungendo a delle conclusioni infondate che confermano suoi peggiori timori.

Vengono interpretati come il segnale che l’altro non ci tenga. Abbia cattive intenzioni, che sia sul punto di lasciare o tradire. In realtà il problema è l’incapacità di fidarsi dell’altro. Si tende a focalizzarsi sulle sue mancanze e sui  comportamenti negativi, dimenticando tutte le volte in cui la persona cara è stata gentile e disponibile.

E’ normale che ci siano delle situazioni in cui l’altro è distaccato, insensibile o preso dai suoi problemi. Questo non significa che l’altro non ci tenga o che il rapporto sia in crisi.

La persona che si arrabbia in modo eccessivo spesso ferisce l’altro in modo consapevole e crudele. Dice quelle cosa che sa che colpiranno l’altra persona nel suo punto debole. La disfunzionale è far sentire all’altro  sofferente. Ferendolo come si è stati feriti.

 

Perdonare

La maggior parte di noi ha affrontato almeno una volta nella vita il tentativo di perdonare qualcuno. Perdonare è un’azione veramente faticosa. Tutti abbiamo nella vita persone che vorremmo strangolare. Persone che ci hanno danneggiato in qualche modo significativo e  che non tolleriamo.

 

Imparare l’arte di perdonare se stessi e gli altri, può regalarci benefici incredibili per la nostra salute fisica e mentale. La ricerca psicologica ha infatti dimostrato che perdonare ha l’effetto di alleviare stress, ansia, livelli di depressione e la rabbia.

 

La rabbia cronica può essere tossica per la nostra salute fisica e mentale. Può aumentare la nostra reattività allo stress e il rischio di sviluppare malattie organiche come quelle cardiovascolari. Se abbiamo troppa difficoltà a perdonare, accumuliamo grandi quantità di rabbia, risentimento e amarezza. Finiscono per danneggiarci a più livelli. Sapere che il perdono è un bene per la nostra salute fisica e psicologica, non lo rende facile da mettere in pratica. Purtroppo non ci sono soluzioni semplici per diventare più bravi a perdonare.

Perdonare non significa dimenticare, possiamo imparare a perdonare, ma continuano a ricordare le cose che ci danno fastidio. Non significa minimizzare l’esperienza vissuta. Si può perdonare ma ammettere che il trauma è stato reale e molto doloroso. Se perdoni non vuol dire che sei un idiota. Il perdono non è un segno di debolezza, ingenuità o stupidità, anzi il contrario.

 

Perdonare non dipende dal fatto che le altre persone si siano scusate con voi. Non possiamo aspettarci che le persone che ci hanno offeso o danneggiato capiscano pienamente i loro errori, potrebbero non ammettere nemmeno di aver fatto qualcosa di sbagliato. Ma se perdoniamo lo facciamo per il nostro beneficio, non per il loro. Non abbiamo bisogno di ricevere qualcosa da loro per perdonarli.

 

Perdonare è un processo, non è un fenomeno tutto-niente, o bianco-nero. Si può non essere in grado di perdonare completamente un’altra persona, ma si può lavorare per avvicinarsi a farlo. Perdonare accresce la salute e il benessere psicologico.

 

Se la rabbia cronica è tossica per la salute e il benessere e se nessuno vuole attorno persone cronicamente arrabbiate, risentite e rancorose, il perdono è davvero qualcosa che dovremmo imparare. Perdonare gli altri per le loro trasgressioni e le loro azioni è nel nostro interesse e non necessariamente nel loro.

 

L’ingrediente segreto del perdono è lasciare andare la rabbia.

 

Nella pratica clinica psicoterapeutica non è raro incontrare persone che hanno vissuto gravi traumi dal punto di vista fisico, sessuale, emotivo, finanziario. Coloro che sono riusciti ad affrontare meglio la vita sono anche quelli che hanno trovato il modo per perdonare se stessi e gli altri. Hanno lavorato duramente per lasciare andare la rabbia e il risentimento. Non hanno dimenticato ma sono riusciti ad affrancarsi dalla condizione di vittima, scegliendo (meritatamente o meno) di perdonare.

 

Non perdonare significa continuare ad avere “un conto in sospeso”. Il non perdono non ci allontana dalla persona verso cui proviamo risentimento e che non intendiamo perdonare, ma ci legherà ulteriormente e cronicamente a lei. Impegnarsi nel processo del perdono, invece, non solo ci dà l’opportunità di recidere quel legame, ma ci rende nuovamente disponibile una quantità di energia mentale altrimenti bloccata ed incastrata in quel rapporto.

In famiglia si deve comunicare

Spesso pensiamo di non essere capiti o di non comprendere fino in fondo l’altro. Sono sensazioni che proviamo dentro e fuori le pareti domestiche, ma non dobbiamo stupirci o preoccuparci. Quindi dobbiamo imparare a mettere in atto strategie di comunicazione efficace.

I problemi di comunicazione spesso nascono da un equivoco: parlare e comunicare sono due concetti completamente differenti.  Dobbiamo entrare in empatia con chi ci ascolta. Non dimentichiamo che chi ci ascolta è diverso da noi, per cui è necessario capire il modo più valido per entrare in sintonia, abbinare capacità di persuasione ed ascolto.

Parlare è essenziale, ma come comunicare?!

Bisogna saper bilanciare “cosa dico”, ossia il contenuto del messaggio, e “come lo dico” cioè quali strumenti, oltre alle parole scelte. Dobbiamo essere sicuri di essere lineari e di usare le tecniche verbali e non verbali in modo corretto.

Se dico no, ma il tono di voce non è fermo e la postura sicura, perdo parte del potenziale di comunicazione del mio messaggio.

Come comunicare

Per aiutarvi a capirlo e lavorare su voi stessi, vi proponiamo un esercizio di storytelling, cioè un racconto scritto, anche sotto forma di appunti, di un caso accaduto o di come vi comportereste in una determinata situazione.

Munitevi di carta e penna e provate a buttare giù il racconto, immaginando l’ultima discussione.

  • Cosa avete detto?
  • Come lo avete detto?
  • Siete riusciti a trasmettere le vostre emozioni, ma anche le vostre ragioni, al bambino che vi ascolta?
  • A mente fredda, cambiereste qualcosa?

Rileggete il vostro scritto, e provate a immaginare lo stesso discorso in modo più lineare.

Una valida strategia comunicativa efficace si basa sulla disponibilità di accettare e vivere positivamente i cambiamenti, costruendo un flusso di comunicazione che sia, contemporaneamente ascendente e discendente.

Occorre creare dal primo istante una buona immagine verso le persone con cui entriamo in contatto per raggiungere il nostro scopo, facendo sentire l’interlocutore a suo agio. 

Sappiamo davvero ascoltare? Per ascoltare ci vuole innanzitutto disponibilità verso l’altro, chiunque egli sia e di qualunque problema voglia parlarci. Bisogna avere un’apertura mentale tale da comprendere, accettare e non valutare.

Spesso proviamo un irrefrenabile bisogno di rispondere o di non ascoltare o di arrabbiarci se l’argomento non è di nostro interesse o come vogliamo noi.

Regaliamo tre minuti di pura attenzione al nostro interlocutore, senza fare assolutamente nulla.

Non fingiamo attenzione, non facciamo altro o rispondiamo a monosillabi, sediamoci vicino a lui o lei e ascoltiamo davvero. Solo così metteremo davvero in pratica tutto quello che la nostra intelligenza emotiva ci suggerisce.